Europa, 7 aprile 2010 – Una proposta nostra – Stefano Ceccanti
Per impostare una seria analisi bisogna anzitutto vedere quali sono i problemi reali. Questo perché lo status quo è molto confuso. La lunga transizione, su entrambe le dimensioni, quella della forma di governo e quello del tipo di Stato, ha visto sedimentare equilibri non superabili come una parentesi né assumibii come tali.
Sul piano della forma di governo il sistema, dopo la lunga deriva assemblearistica degli anni Ottanta e di fronte a un centrosinistra prima incapace di unirsi, poi imploso due volte, ha individuato in Berlusconi, nel suo conflitto di interessi, una sorta di by-pass per assicurare in modo anomalo una certa stabilità. Sul piano del tipo di stato la riforma del titolo V, pur rispondendo a esigenze reali, non è stata completata con la riforma del senato, che avrebbe dovuto essere il luogo di assunzione di responsabilità per l'unità dell'ordinamento.
Siccome il potere non conosce vuoti, quell'esigenza è stata poi dirottata dalla corte costituzionale sulle intese tra governo nazionale e giunte, per lo più attraverso la conferenza stato-regioni. Il conflitto di interessi di Berlusconi e il ruolo abnorme della conferenza stato-regioni sono i due by-pass cardiaci della transizione, che andrebbero rimossi con una riforma incisiva ed equilibrata.
Passiamo quindi a giudicare i rapporti di forze. La maggioranza è composta da tre elementi: la pressione della Lega per chiudere la transizione sul tipo di stato; c'è il gruppo di Fini che ha l'obiettivo di un semipresidenzialismo di tipo francese, compresi i collegi uninominali; c'è infine Berlusconi, la cui cultura politica semplificatoria è nota, ma che deve tenere conto delle due componenti già citate. Il dialogo con l'opposizione è interesse soprattutto della Lega e di Fini, mentre invece non è più di tanto nelle convenienze di Berlusconi, a cui sarebbe più utile una riforma conclusa nel recinto della maggioranza.
Occorre poi considerare che la storia non si ripete. Sottrarsi a priori e ipotecare sin d'ora lo schieramento del No solo perché nel 2006 si vinse così non è una strategia e non solo perché così non ci si fa carico di problemi reali. La maggioranza ha fatto tesoro dell'errore.
Avere impostato nel 2006 la riforma in termini di vittoria propagandistica della sola Lega fu la premessa della sconfitta nelle urne. Nessuno commette lo stesso errore due volte.
Passiamo infine all'azione del centrosinistra, che dovrebbe essere analoga a quella efficace sperimentata sulla legge delega sul federalismo fiscale, cioè non giocare di rimessa, ma con una propria proposta.
Più semplici in astratto le soluzioni sul tipo di stato: l'elezione diretta contestuale dei senatori insieme ai consiglieri regionali di ciascuna regione è un punto ragionevole di equilibrio; per le tipologie di leggi (un nucleo minimo di bicamerali paritarie, una prevalenza standard della camera, un potere di veto del senato superabile a maggioranza qualificata per quelle che incidono sulle competenze regionali) funziona bene la bozza Violante.
Sul versante della forma di governo il centrosinistra ha una preferenza tradizionale per il modello parlamentare razionalizzato, una categoria dentro la quale si nascondono però due impostazioni radicalmente diverse. Quella che parla di modello tedesco tende in realtà a riproporre la tradizionale visione assemblearistica, con governi decisi dai partiti dopo il voto e rinegoziati in corso di legislatura.
Una prospettiva sbagliata e che in questo parlamento non ha alcuna sponda possibile nella maggioranza.
La seconda, nettissima nel programma elettorale nel Pd ma presente anche nella cosiddetta bozza Violante (che conteneva un vincolo alla nomina di tutti i governi nella legislatura ai risultati elettorali per la camera) corrisponde alle caratteristiche effettive delle grandi democrazie europee.
Dopo l'anomalia del conflitto di interesse di Berlusconi si deve avere la fisiologia di governi autorevoli scelti dagli elettori, anche per evitare un gap con comuni, province e regioni. Ovviamente siccome le riforme si fanno in due, la maggioranza può anche legittimamente chiedere che si lavori a partire da uno schema diverso, l'unico altro presente tra le grandi democrazie europee, il semi-presidenzialismo francese. Una scelta non irricevibile, sempre che venga proposta per intero, compresi i collegi uninominali.
La riforma elettorale non è comunque un "optional", qualsiasi schema si adotti.