In un’aula semivuota ieri è venuto fuori fuori il cuore della non politica governativa . Si discute il Documento di programmazione economico-finanziaria. L’intervento di Morando – documentatissimo (riportato in Leggi tutto) -sarebbe la piattaforma sufficientemente aggressiva, ma anche propositiva di una opposizione adeguata e attrezzata. Ma tutto scivola via in una disattenzione generale. Qualcosa rimbalza su Il Sole 24 Ore e l’Unità, ma il cervello politico del centro sinistra sembra essere altrove.
Intervento in aula del senatore Morando – 27 luglio 2009
MORANDO (PD). Signor Presidente, nel 1999, dieci anni fa, la spesa corrente primaria era pari al 37,6 per cento del prodotto interno lordo; nel 2009, secondo il Documento di programmazione economico-finanziaria presentato dal Governo, essa sarà pari al 43,4 per cento del prodotto interno lordo. Dunque, facciamo una banale operazione di sottrazione: 43,4 per cento oggi, meno 37,6 per cento dieci anni fa, uguale 5,8 punti di prodotto interno lordo in più di spesa corrente primaria. Mal contati, a valori attuali sono 90 miliardi di euro.
Signor Presidente del Consiglio, signor Ministro dell'economia (mi rivolgo a loro per il tramite del vice ministro Vegas), voi che di questi dieci anni ne avete governati sette, voi dovete rispondere a questa banale e precisa domanda: cosa ne avete fatto?
Non rispondete, per favore, che li avete usati, almeno in questo ultimo anno, per fare fronte alla crisi: la spesa corrente primaria sale, nell'ultimo anno, di 3 punti secchi di prodotto, ma solo lo 0,7 per cento, cioè meno di un quarto di questo aumento, è dovuto alla spesa per ammortizzatori sociali e per il sostegno all'economia. Il resto, la gran parte, due terzi, è semplicemente e banalmente dovuto al fatto che, pur non facendo alcuna manovra espansiva (unico Governo dei Paesi OCSE), non avete tenuto l'evoluzione automatica della spesa sotto controllo.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria di fronte a questa cruda realtà dei fatti circola solo e soltanto rassegnazione. Riassumo così i termini di questa rassegnazione nelle scelte che il Governo fa con questo Documento: primo, non si fanno riforme durante le crisi; secondo, non ci sono spazi per una manovra espansiva nel 2009 corretta da dure e immediate misure di risparmio da far agire quando il ciclo cambierà di segno; terzo, la spesa corrente primaria si potrà ridurre – così ragionate solo – sottolineo: solo – con l'attuazione del federalismo fiscale (cioè a dire: tra sette anni, forse, vedremo qualche risultato); quarto, la pressione fiscale, quella, la programmiamo in aumento di ben 0,6 punti di prodotto nel 2009 («la programmiamo», non «la prevediamo», sono due cose diverse): dunque, una pressione fiscale in aumento nel 2009 di più di mezzo punto di prodotto nel corso della più grave recessione che la storia post guerra mondiale del nostro Paese conosca, cioè una politica economica fiscale duramente prociclica come questa non si era mai vista. E non possiamo far altro – aggiunge il DPEF – che tenere quella pressione fiscale al 43 per cento per tutto il periodo di programmazione, fino al 2013 («di programmazione» signor Presidente, non «di previsione»: sono due cose diverse); il quinto, il debito pubblico, infine, risale automaticamente al livello dove stava a metà degli anni '90 e lì resterà, secondo la programmazione del Governo, per tutto il periodo fino al 2013, anche perché – dice il Governo – non abbiamo in animo di adottare misure di valorizzazione del patrimonio pubblico che siano in grado di ridurre più rapidamente il volume globale del debito pubblico.
Signori del Governo, voi presentate questo Documento di programmazione economico-finanziaria che adesso ho riassunto e noi saremmo i catastrofisti, quelli che non credono nelle potenzialità del Paese, nella persistenza del suo slancio vitale? La nostra tesi è opposta a quella che voi, col codazzo di commentatori compiacenti e adoranti la "genialità" del Ministro dell'economia, ci attribuite.
Noi pensiamo che il Paese abbia grandi problemi, ma anche le risorse sufficienti per resistere alla crisi e riproporsi da protagonista nel nuovo ciclo di sviluppo che verrà dopo la crisi: il buon livello del risparmio privato controbilancia l'elevato livello del debito pubblico; il nostro apparato produttivo, specie nella sua componente manufatturiera, è pronto – dopo la dura ristrutturazione del passaggio di secolo – ad approfittare di una possibile ripresa dei consumi nell'economia internazionale e della domanda di qualità Italia che può giovarsi dell'esistenza – non so se esserne lieto o no, ma è così – nel mondo di un crescente numero di milionari (in euro, naturalmente); la crisi, infine, indebolisce le posizioni conservatrici di chi si è sempre opposto, sulla base di una logica di tutela neocorporativa dello status quo, alle riforme e crea dunque le condizioni la crisi stessa di potenziale consenso politico per fare le riforme.
Ma queste potenzialità, che ci sono davvero e che noi vi proponiamo di utilizzare, sono destinate a restare tali, se non viene in campo un progetto consapevole della politica che riduca i fattori di debolezza ed esalti quelli di forza. Questo Documento di programmazione economico-finanziaria – così profondamente intriso di rassegnata impotenza – non è parte di tale progetto.
Siamo noi, allora, che vi diciamo: abbiate più fiducia nell'Italia, favorite con le scelte di governo (con i fatti, quindi, non con le polemiche contro gli statistici di tutto il mondo che avete fatto nel corso di queste ultime settimane, in particolare il Ministro dell'economia) la crescita della fiducia degli italiani, quella che gli economisti chiamano il sistema delle aspettative, così importante nell'economia contemporanea. Per farlo, dovreste aprire davvero una diversa fase della vita del vostro Governo: i suoi capisaldi dovrebbero essere specularmente opposti a quelli che hanno contrassegnato questo primo anno di legislatura e che costituiscono l'architrave del Documento di programmazione economico-finanziaria.
Primo caposaldo: la crisi è la migliore occasione per fare riforme strutturali. Ne indico tre, a titolo di esempio.
La prima: una nuova, intensa stagione di liberalizzazioni e di apertura dei mercati chiusi, a partire dal settore energetico – con la separazione proprietaria di SNAM‑Rete gas dall'ENI – e dei servizi pubblici locali, per i quali appare preferibile un approccio di settore a quello onnicomprensivo che avete seguito nel decreto n. 112 del 2008 e che ha già fatto fallimento.
La seconda: l'adozione di un sistema universale di ammortizzatori sociali che spazzi via gli strumenti gravemente discriminatori tra lavoratori oggi in essere, adottando un moderno sistema di flex security di tipo europeo, con tutte le conseguenze del caso, anche sul terreno del diritto del lavoro.
La terza: una rivoluzione della giustizia civile che realizzi, a parità di costi e senza modificazioni del diritto sostanziale, ma solo facendo lavorare di più e meglio l'intero sistema, un dimezzamento dei tempi medi del processo italiano, la cui lunghezza spropositata è, tra l'altro, la causa prima della mancanza di investimenti diretti esteri nel nostro Paese.
Tre esempi, a proposito di questo primo caposaldo, uniti dall'obiettivo di sostenere la produttività e la crescita del sistema economico, da un lato, e, dall'altro, di ridurre al contempo i livelli di disuguaglianza, che si sono fatti insostenibili sia sotto il profilo etico che economico.
Secondo caposaldo: riprendere subito il controllo dei conti pubblici che voi avete perso, prima di tutto definendo un preciso e verificabile obiettivo di riduzione della spesa corrente primaria di qui al 2015. Voi nel 2013, con il Documento di programmazione economico-finanziaria, non programmate alcuna manovra correttiva: è un errore grave, che testimonia della totale mancanza di ambizioni che vi sta ispirando. C'è bisogno del contrario: esattamente nel 2013, nel 2014 e nel 2015 la puntuale programmazione di interventi di riduzione della spesa corrente primaria è indispensabile e realistica, se vogliamo recuperare la libertà della nostra politica economica. Ma questi interventi vanno definiti oggi, subito, indicandoli oggi nel DPEF nella loro qualità, nella loro entità e nei lori effetti, se vogliamo che siano efficaci per allora, così da conservare il carattere anticiclico della politica di bilancio.
Terzo caposaldo: man mano che si realizzano risultati dal lato della riduzione della spesa corrente, bisogna programmare la riduzione – verso il 40 per cento del prodotto interno lordo nel 2015 – della pressione fiscale; nel frattempo agendo con interventi selettivi per spingere ad un migliore utilizzo dei fattori di crescita, cioè – come dicono gli economisti – per aumentare il cosiddetto prodotto potenziale. In primis, per portare a partecipare al mondo del lavoro quei 4 milioni di donne che oggi, a paragone con i grandi partner europei, non sono nel mercato del lavoro, ma ne sono fuori, di cui 3 milioni solo nel Mezzogiorno: quei 4 milioni di donne e, in particolare, quei 3 milioni del Mezzogiorno che costituiscono la principale risorsa per lo sviluppo del nostro Sud. E, in secondo luogo, per spostare prelievo – a parità di gettito – dal lavoro, sul quale oggi grava, ai fattori di inquinamento.
Quarto caposaldo: un preciso e verificabile obiettivo di riduzione del volume globale del debito, anche attraverso un realistico progetto di valorizzazione del patrimonio pubblico. Anche a questo proposito, il DPEF è rassegnato al peggio (lo definirei così): balzo all'insù di 10 punti (dieci punti!) di prodotto interno lordo nel solo 2009, per poi mantenersi stabile al 118 per cento del PIL negli anni successivi. Tra il 1995 e il 2004, signor Presidente, abbiamo usato patrimonio pubblico per 11 punti di prodotto interno lordo al fine di ridurre il volume globale del debito; ma il fallimento dal lato del controllo della spesa ci riconsegna un debito pari a quello del 1997. Detto in altre parole: se non ci sarà subito una svolta, la nostra generazione – quella dei baby boomer – sarà giudicata come quel nobile che vendeva progressivamente ali del castello per finanziare feste a cui non si divertiva più nessuno.
Quinto caposaldo: il ritiro del disegno di legge di assestamento e la sua integrale riscrittura, eliminando ciò che nell'assestamento non ci può stare, cioè l'aumento della spesa e il peggioramento del fabbisogno e dell'indebitamento. Per questa via, si ottiene un miglioramento dei saldi 2009 di quasi un punto di prodotto interno lordo, da impiegare in una manovra espansiva tra la fine del 2009 ed i primi sei mesi del 2010 che obbedisca a precisi criteri e priorità, invece di lasciare la qualità della spesa inalterata, come è costretto a fare chi deve ricorrere – come fa il Governo – ad uno strumento improprio come l'assestamento.
Nel contesto creato dalle scelte che ho illustrato, una manovra espansiva come questa nel 2009 non allarmerebbe i mercati, non peggiorerebbe il merito di credito, darebbe un piccolo sollievo ad imprese e famiglie e, per questa via, migliorerebbe il sistema delle aspettative.
Una politica economica e fiscale di questo tipo crea grandi difficoltà politiche? Certamente sì. Ma è ancora grande il consenso di cui godete ancora nel Paese. Ed è grande la maggioranza su cui potete contare nel Parlamento. Come vi è stato già autorevolmente chiesto: se avete una visione sul futuro del Paese, quando, se non ora, intendete tradurla in impegnative scelte di governo? Quando la legislatura sarà entrata nella sua seconda fase e la vostra luna di miele col Paese sarà soltanto un pallido ricordo?
Purtroppo, il vostro Documento di programmazione economico-finanziaria, la vostra rinuncia a tentare di governare la crisi, la vostra rassegnazione ad esserne governati dimostrano che tra i due sentimenti oggi presenti nel Paese – la speranza e la paura – voi avete investito così tanto sul secondo, cioè sulla paura, da restarne prigionieri: facendo leva sulla paura, però, si possono vincere le elezioni, ma si perde la prova del governo