E' appena incominciato il lavoro sullo statuto del Pd e mi sembra in modo non trasparente. C'è chi regiona di partito e delle sue forme evolutive e chi dei posti persi o regalati. Ho molta fiducia nella capacità poolitica e culturale di alcuni nostri compagni (Morando, Salvati, Vassallo) che lavoreranno alle nuove regole, ma a giudicare dalle prime affermazioni sul messaggero non la si può mettere troppo facile: da una parte il partito tradizionale, dall'altra quello dei cittadini che vengono, votano e tornano a casa.
Se le cose fossero come scrive Morando allora ogni candidato segretario, all'atto della candidatura avrebbe dovuto rendere esplicito prima lo staff di governo e la direzione.
In genere le monarchie costizionali sono preferibili a quelle assolute.
Se applichiamo al partito la rigida trasposizione dello schema governo-parlamento tutto l'equilibrio dei poteri va disegnato in forma nuova. Ci sarà interessante materia di discussione, condivisione o dissenso. Ci sono anche questioni di stile. Peppino Caldarola, prima dalemiano di ferro, poi membro della componente Angius, poi uscito dai Ds perchè contrario al Pd, poi frequentatore della costituente socialista, si lascia andare sul Messaggero ad affermazioni del tipo "questo gruppo dirigente durerà finchè lo vorrà Veltroni".
Attenti alle "guardie verdi del PD", cioè a quelli più papalini del Papa. D'altra parte, su questo terreno, è riemerso il vero deux ex machina del partito – non partito, cioè Silvio Berlusconi. Sul terreno della nuova politica quasi anti-politica, del "passate al gazebo e iscrivetevi tanto decido tutto io" è per l'immediato e per il futuro assolutamente imbattibile.