Mentre il Governo privatizza Difesa e Protezione Civile, conituna il dibattito nel Pd. Mi sembra di rivivere movimenti antichi: un grande blocco attorno al segretario in stile PCI http://bit.ly/az6Kas
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Nella sua riflessione youtubesca, Magda Negri denuncia con apprensione il dilagare irresistibile della tendenza centripeta. Mi permetto di sottolineare qualche oggettiva ambiguità nel suo ragionamento.
1) Mi chiedo: si può sostenere con forza il bipolarismo (ai limiti del bipartitismo), il "partito (liquido/elettoralistico) degli elettori" e "delle primarie", a vocazione maggioritaria, ecc. senza mettere nel conto che -al di là delle buone intenzioni e degli artifici retorici- tutto ciò implica una inevitabile marcia verso il centro?
La tendenza centripeta, come stranoto, è fisiologica nei sistemi politici democratici attuali. Con la fine dei partiti storici e delle ideologie connesse, lo spazio politico da occupare diviene non più quello sociale bensì quello elettorale. Se la democrazia matura privilegia la funzione di governo su quella di rappresentanza (con massicci fenomeni di apatia ed exit di interi settori di società dalla competizione), ciò produce necessariamente un processo centripeto: la caccia all'elettore moderato e "mediano". Il che spiega anche, in gran parte, i massicci fenomeni di apatia ed exit di interi settori di società dalla competizione.
Ciò vale per i sistemi bipartitici, quelli bipolari e quelli ancora pluralisti ma senza più radici storiche, ideali, sociali (proprio per questo in transizione; v. il caso italiano).
C'è quindi un autentico paradosso in certe critiche alla "corsa al centro" del PD bersaniano. Al limite, infatti, sarebbe molto meno centripeta proprio la strategia che molti imputano a Bersani, ossia il ritorno ad un partito nettamente socialdemocratico, spostato a sinistra, con una sua precisa identità che, per mantenersi tale e vincere le elezioni, deve fare alleanze con forze dichiaratamente diverse. (Un neo-PCI, come dice Magda? Insomma, la critica è: troppo identitario o troppo poco?).
Se questa fosse la strategia, dovremmo allora aspettarci, nei tempi medi, un partito identitario, con precisi confini, certamente abbastanza grosso ma minoritario e perciò costretto ad alleanze perenni, difficile però da etichettare come omologo alla palude del "grande centro". Questo sì sarebbe il "neo-PCI", con tutta la sua zavorra di "diversità".
2) Un inciso. Personalmente, non credo però che questa sia la strategia bersaniana, per la semplice ragione che nessuno -a mio avviso- ha una strategia. Tutti si muovono sul terreno della tattica, elettorale il PD bersaniano, interna al PD i suoi oppositori. I quali non hanno ancora dimostrato, malgrado il Congresso, perché le loro posizioni eviterebbero la deriva centrista comune a tutti i sistemi politici democratici maturi, specie quelli teorizzati dagli oppositori di Bersani. Né hanno ancora dimostrato (ammesso che la loro strategia sia chiara), con quali tattiche si affronterebbero meglio le scadenze elettorali. Inoltre, il nostro è un governo schiettamente di destra, anche senza le concessioni alla Lega. Dove lo inseguiamo? Se la bussola è: vincere le elezioni (o perderle meno), ovviamente si corre a grandi falcate verso il centro, visto che estremizzare in senso opposto ci condannerebbe all'impotenza. Esiste una possibilità alternativa? La si esplichi. Siamo in realtà alla tattica (senza strategia): elettorale quella bersaniana, di rimessa e tutta interna al PD quella degli oppositori.
3) Proseguo il ragionamento generale. La tendenza centripeta produce ovviamente controspinte centrifughe ma minoritarie. Il che non contraddice né attenua (se non del tutto marginalmente) il fenomeno dell'exit di massa ma produce effetti nel ceto politico da valutare bene.
Il ceto politico dei grandi partiti con potenzialità di governo è ovviamente portato ad assecondare il processo centripeto. Se il suo obiettivo prioritario (esclusivo?) è infatti quello di vincere le elezioni, deve allora -se non ce la fa da solo- guardare con benevolenza ai piccoli partiti in funzione di coalizioni. Dal canto suo, il ceto politico dei piccoli cd. "partiti", per avere speranza di riprodursi deve appunto entrare in coalizioni, il che implica due cose: 1) abbassare i toni, de-radicalizzarsi (movimento centripeto), 2) restando però formazione autonoma con una presunta forte identità diversa, per poter contare nelle trattative di coalizione non in base al suo peso sistemico effettivo ma in base al piccolo apporto elettorale "marginale", prezioso in una competizione testa a testa.
Così, entro il generale processo centripeto, si perpetua il ceto politico ed anche un sostanziale pluralismo solo in apparenza "centrifugo". Se l'obiettivo principale è quello di vincere per governare (quindi riprodursi in quanto ceto), tale situazione conviene a tutti, anche perché espropria le rispettive basi partitiche dalle decisioni, consegnando le dinamiche di coalizione ai vertici ed al principio del realismo politico ("primum vivere", e molto dopo, se c'è tempo -ma non c'è mai- filosofare).
4) Infine. Magda esorta il PD "ad essere se stesso", affrontando così anche i passaggi tattici, il che -come ho già detto- non è per nulla chiaro. Il fatto è che il PD, per essere espliciti, non è niente: non ha un'identità precisa, non ha una sua "narrazione" condivisa né narrazioni alternative di dove siamo e dove andiamo. Il Pd non ha posizioni chiare e nette su nulla che non sia legato alla tattica immediata. Il Congresso ha creato equilibri dirigenziali più definiti, immediatamente messi però in discussione dalla minoranza che si organizza in corrente antagonista e dalla maggioranza che fa altrettanto. Tutti si muovono cioè in funzione del "controllo" reciproco e dei pezzi di partito in cui si è insediati, non dell'egemonia. Primum vivere e, aggiungo, riprodursi come ceto.
A me piacerebbe filosofare, ma dove?
L.B.
Caro Luciano,
tu cerchi un luogo per filosofare, ma ricorda che sei il presidente di
Libertàeguale, che è il luogo ideale per discutere di politica gratis e con
piacere.
A parte gli scherzi, hai preso troppo sul serio il mio piccolo filmato e
forse io non mi sono spiegata bene. Quando parlavo di tendenza centripeta
nel Pd e del Pd non volevo affatto riferirmi alla funzione di rappresentanza
politica del centro e delle conseguenti soluzioni organizzative e cifre
culturali del partito. Volevo invece significare una cosa molto semplice e
cerco di spiegarmi meglio.
Quando nel settembre del 2006 con il seminario unificato dei gruppi Camera e
Senato di DS e Margherita a Orvieto si cominciarono a gettare le basi del
Pd, ci fu un'aperta contesa tra Marini e D'Alema da una parte, noi libeal
dei DS e i parisiani dall'altra, sul baricentro politico e organizzativo del
Pd. Per i primi, tale baricentro doveva saldarsi nella malta della somma
statica di Ds e della maggioranza della Margherita, con il conseguente
taglio delle ali eretiche, di destra e di sinistra, dei due partiti; per i
secondi, che avevano condiviso un decennio di battaglie per le riforme
istituzionali e per quella dei partiti politici, doveva trattarsi di un
baricentro mobile, che seguisse la dialettica classica nei moderni partiti
di centrosinistra, tra le sue componenti più liberali e liberalsocialiste e
quelle più tradizionali e identitarie.
Dopo le primarie del 2007 ci furono sette mesi anche confusi, dal Lingotto
alle elezioni del 2008, dove si tentò, fallendo, la gestione del partito in
base a questo secondo schema. Personalmente pensavo che il congresso su
mozioni col segretario eletto dalle primarie dovesse portare a una limpida
gestione di maggioranza, serena e forte, da parte dei vincitori, con
l'accettazione di una corretta posizione di minoranza dei perdenti. Nel
mondo normale le cose vanno così, ma tutto è stato inquinato nella gestione
stessa del congresso e dalle reciproche rassicurazione di futura gestione
plurale. Gestione plurale è cosa ben diversa dalla gestione unitaria di
ascendenza comunista, perché nei fatti congela gli schieramenti congressuali
nella loro alterità, pur sotto le forme del politicamente corretto.
Fin dall'inizio sono stata contraria alla gestione plurale, ma credo di
esser l'unica in tutto il Pd. Cosa sta succedendo ora? I bersaniani che
hanno voluto riprendersi il partito più o meno non sanno cosa farsene,
perché saltellano dalla strategia dell'alleanza priviligiata con l'Udc,
centralmente governata, a quella delle due gambe paritarie con l'Idv. Prima
o poi bisognerà chieder conto. In Area democratica, i popolari e il gruppo
di Fassino sono ormai di fatto protesi a una cogestione politica con la
maggioranza. L'area di Marino (ti manderò la mia lettera al Riformista)
persegue, un po' contraddittoriamente, l'idea insieme di un grande Pd o di
un nuovo Ulivo per le elezioni del 2013 e cerca di spezzare gli attuali
asseti correntizi. Il nucleo depositario del progetto originario del Pd
(parisiani, liberieguali, etc.) sono immobilizzati dalla nostalgia di ciò
che non è stato e dalla ricerca del perché ciò è avvenuto. Ma mentre i
liberi pensatori s'interrogano sulla politica, la storica spinta burocratica
conduce quella che fu la maggioranza centrista dei Ds fino al 2007 e quella
che fu la maggioranza centrista della Margherita, a una consociazione di
potere in attesa di tempi migliori. La ferocia con cui sono stati trattati i
posti della Direzione, gli incarichi parlamentari e di partito, testimonia
la degenerazione ragionieristica di una politica in crisi.
Baci
Magda Negri
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