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Magda Negri

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DIFENDERE LA DEMOCRAZIA DALLE ELEZIONI: E’ QUESTA LA LINEA DEL PD?
di Mario Barbi
Riflessione in dieci punti con post-scriptum suggerita a un bipolarista convinto ed ulivista
non pentito dal dibattito sulla crisi politica della maggioranza berlusconiana svolto nella
assemblea del gruppo di venerdì 30 luglio e commentata successivamente dalle interviste
dei “big” del Pd dopo il caminetto serale dei leader del partito.
1. E' stato detto nel Pd, da tutti, che Berlusconi va sconfitto politicamente. Concordo, ma
ritengo che occorra precisare che sconfiggere Berlusconi politicamente significa una cosa
sola: batterlo alle elezioni.
2. La crisi politica della maggioranza berlusconiana dovrebbe essere colta dal Pd e dal
centrosinistra come un’opportunità attesa e insperata per sfidare Berlusconi al voto. La
crisi politica della destra ha infatti ragioni profonde che, in ultima analisi, attengono alle
contraddizioni generate dalla crisi economica e finanziaria e dalle tensioni sociali e
territoriali che ne derivano e che sono acuite dalle misure dure, ancorché frammentarie e
indiscriminate, resesi necessarie per arginare le emergenze del debito e della spesa
pubblica. Se la maggioranza di destra si sfasciasse in modo palese in Parlamento
significherebbe che la destra ha fallito la prova del governo. Quale occasione migliore per
l’opposizione per chiedere agli italiani di mandarla a casa con il voto?
3. Si dice invece nel Pd (ma per la verità non in tutto il centrosinistra) che bisogna evitare il
voto. Non posso credere che sia per la paura di perdere. O, addirittura, perché non ci si
sente preparati. Perché, allora?
4. Le risposte sono molte, ma si possono riassumere in due punti: a) non si può votare con
questa legge elettorale che è bollata come sostanzialmente antidemocratica perché può
dare luogo ad una maggioranza parlamentare a cui corrisponde solo una minoranza di
elettori (osservo, a margine, che se la critica politica al porcellum si trasformasse in
“dottrina” dell’illegittimità del voto, i rischi politici sarebbero altissimi; basti ricordare che la
Thatcher e Blair hanno governato il Regno Unito per oltre un ventennio con maggioranza
parlamentari prodotte con meno del 40% dei voti espressi) ; b) bisognerebbe contrastare
in ogni modo il populismo di Berlusconi che cerca nel voto l'investitura plebiscitaria e
“cesarista”.
5. Le due ragioni per non andare al voto indicate al punto precedente contraddicono la
proposizione numero uno (“sconfiggere Berlusconi politicamente”) ovvero la trasformano
in modo radicale: "politicamente" non significa nelle urne, ma nel “palazzo” (nonostante la
vittoria elettorale di Berlusconi nel 2008 e soprattutto prima che si torni a votare la volta
successiva). Ci si attrezza pertanto, psicologicamente e narrativamente, a sostenere
qualsiasi governo purchè senza Berlusconi: qualsiasi cosa, si afferma, pur di mandare a
casa Berlusconi.
6. Si dice anche e con ragione che c'è una crisi istituzionale che si intreccia con la crisi
politica. La crisi istituzionale non è di oggi, ma è anzi un filo che si snoda lungo tutto il
tempo della “seconda repubblica”. La crisi istituzionale in qualche modo precede la crisi
politica, ne è causa ed effetto. Pertanto la crisi istituzionale andrebbe affrontata prima di
tornare al voto, altrimenti il voto non farebbe che aggravare la crisi istituzionale e la crisi
istituzionale produrrebbe altre crisi politiche.
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7. Questa crisi istituzionale è descritta e avvertita come il prodotto della divaricazione
ormai insostenibile tra il "presidenzialismo di fatto" di cui Berlusconi sarebbe espressione e
il "parlamentarismo di diritto" della nostra costituzione. Di fronte a questa “alternativa del
diavolo” la scelta del Pd sarebbe obbligata.
8. Per salvare la democrazia (da Berlusconi) bisognerebbe perciò evitare il voto: nulla
sarebbe più rischioso per la democrazia delle elezioni. E va da se che il corollario, nella
situazione data, è che bisogna anche preservare gli elettori dagli errori che possono
compiere votando con una legge così. Partiti dal proposito di sconfiggere Berlusconi
“politicamente”, cioè nelle urne, si scivola sul terreno delle scelte della forma di governo e
della legge elettorale, dove il Pd, apparentemente monolitico contro Berlusconi, è tutto
tranne che unito.
9. Così, anziché scegliere di sfidare Berlusconi sul terreno in cui ci ha portato l'evoluzione
del sistema politico e democratico e di considerare come punto di partenza acquisito per
ulteriori progressi la scelta da parte degli elettori di maggioranze di governo e leadership si
persegue l'obiettivo di ricondurre il potere degli elettori entro ambiti più sicuri e limitati (che
gli elettori si esprimano su partiti e preferenze piuttosto che su leader e maggioranze!).
10. Nel perseguimento di questo obiettivo di restaurazione del primato dei partiti sono uniti
tanti dei migliori eredi della classe politica delle prima repubblica: D'Alema ne è la guida
più sicura. Casini predica la fine del bipolarismo e il ritorno al proporzionale da quando
faceva il presidente della Camera. Rutelli ha fatto la stessa scelta. E ora, quale è la scelta
di Fini? Anche Fini si è iscritto al club dei “restauratori”? Nel mio piccolo, è un club al quale
non mi sento di associarmi. Sono convinto che se Berlusconi cade si debba tornare al voto
e che il Pd debba prepararsi per questo.
Ps. Sono infatti contro Berlusconi (pur non considerandolo un dittatore) e sono contro il
porcellum, ma sono anche bipolarista e per la democrazia governante e sono perciò
convinto che se il governo Berlusconi va in crisi si debba tornare al voto e non sono
dell’opinione che qualsiasi mezzo sia lecito pur di mandarlo a casa. E questo per due
buone ragioni: 1. continuo a pensare che si debba uscire dalla crisi istituzionale non con la
“restaurazione” della “repubblica-dei-partiti”, bensì con il rafforzamento della “democrazia
dei cittadini” e la conferma perciò dell’impianto bipolare-maggioritario del sistema politico,
accompagnata da un parlamento rafforzato da quello che chiamerei un “presidenzialismo
di diritto”; 2. pensare di “liquidare” Berlusconi nel palazzo e non nelle urne (magari
rendendogli impossibile di presentarsi al voto) rischia di essere non solo irrealistico e
velleitario, ma anche pericoloso perché le reazioni del paese potrebbero essere
seriamente ostili a quella che non potrebbe non apparire come una forzatura e un
ribaltamento del verdetto elettorale del 2008. Per queste ragioni, allo stato, in assenza di
una qualsiasi iniziativa politica nel Pd e nel centrosinistra che non sia dettata dalla paura e
dal velleitarismo, mi chiedo come potrei votare la fiducia ad un governo ribaltonista di
concentrazione anti-berlusconiana qualunque ne sia il nome (larghe intese, patto
repubblicano, unità nazionale, maggioranza democratica centro-destra-sinistra) o la
formula (tecnico, istituzionale, di transizione) e ancor di più come potrei votare una legge
elettorale di impianto proporzionale e partitocratico (sia che si basi su liste plurinominali e
preferenze, sia che sia alla tedesca, ovvero proporzionale con preferenze uninominali).
Roma, 02 agosto 2010

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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