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Magda Negri

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Il Foglio - 4 marzo ’11

Dunque, non ci saranno elezioni anticipate, nella Primavera che sta per iniziare. Paradossalmente, è l'ulteriore e progressivo indebolimento della leadership di Berlusconi a produrre questo esito: prima - quando non erano ancora state ammesse, dal Premier, le sue pressanti telefonate per ottenere il rilascio di quella che ha poi scoperto non essere la nipote di Mubarak; quando le bozze dei decreti legislativi sul federalismo fiscale sembravano più coerenti con i principi di delega e, quindi, accompagnate da un più ampio grado di consenso; quando apparivano meno stringenti i principi cardine del nuovo Patto di Stabilità e Crescita europeo - Berlusconi e Bossi potevano scegliere la strada del voto anticipato.

Un rischio, per loro e per il Paese. Certo. Ma un azzardo calcolato: per chiedere agli elettori di punire il "traditore" Fini, facendo ripartire la macchina della "rivoluzione federalista e liberale". Ora, il ricorso immediato alle urne può essere solo il frutto di un evento che li travolga, di una totale perdita di controllo della situazione. 

Quando Berlusconi e Bossi dicono, come fanno nelle ultime settimane: "si va avanti", non compiono più una scelta tra alternative disponibili: si trincerano dentro gli attuali rapporti di forza parlamentari, che hanno in parte provveduto a restaurare dopo quella che sembrava una tempesta rovinosa (la costituzione di FLI), e si è rivelata solo un robusto temporale.

Le conseguenze per il Paese si annunciano nefaste: il Presidente del Consiglio, impegnato notte e giorno ad occuparsi degli affari (giudiziari) suoi, costruirà l'agenda politico-parlamentare sulle ricette - incessantemente mutevoli - suggerite da suoi avvocati difensori, così che il Paese non avrà né ruolo, né strategia nella gestione di dossier cruciali per il suo futuro, come quelli delle nuove regole del Patto di Stabilità e di Crescita europeo e delle conseguenze del collasso della Libia di Gheddafi.
Se le cose stanno così - e a me pare proprio che stiano così - anche il PD si trova di fronte all'esigenza di un profondo mutamento di strategia: se il voto sarà tra un anno e più, l'idea di prepararlo facendosi regista della costruzione di una Grande Alleanza Costituente, da Fini a Vendola, passando per Casini e Di Pietro, è semplicemente insostenibile.

Come ho cercato di dimostrare alla recente Assemblea Nazionale del PD, lo era anche prima. Ma adesso? Adesso anche il più convinto sostenitore della teoria emergenzialista dell'Union sacrée contro Berlusconi non può non prendere atto che restare ancorati a questa proposta politica impedisce ai riformisti italiani di utilizzare la crisi verticale di credibilità di Berlusconi per mettere in campo con successo - ben radicata sui fondamentali problemi del Paese - un'iniziativa di sfondamento nel campo avversario, tra quei milioni di elettori del centro-destra che hanno già maturato un giudizio di profonda delusione per le performances del Governo, ma non considerano uno schieramento tenuto insieme dall'antiberlusconismo come un'alternativa credibile. Ciò  che spiega perchè il PDL crolla nei sondaggi, ma il PD non conquista uno solo di quegli elettori in fuga.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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