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Magda Negri

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Il Riformista, 11.1.08 - Perché serve un nuovo patto tra laici e cattolici - Claudia Mancina

A distanza di alcune settimane dal lancio dell'iniziativa detta di "moratoria dell'aborto", vale forse la pena di interrogarsi sul suo sorprendente successo, che ha coinvolto perfino il papa, e che nel mondo laico suscita sconcerto, provocando divisioni, reazioni indispettite, chiusure difensive o aperture spregiudicate, che tutte testimoniano una certa difficoltà di risposta (con poche eccezioni, tra le quali l'articolo di Mariella Gramaglia su questo giornale).La chiave di questo successo sta, a mio parere, proprio nella paradossalità del termine moratoria, applicato all'aborto. Perché, come molti hanno già detto, si può parlare di moratoria di un atto statale, ma non di una scelta individuale: a meno che si intenda proporre la sospensione della legge che ne regola l'attuazione. Giuliano Ferrara lo esclude, sostenendo invece di voler fare solo una battaglia culturale. Perché allora l'uso di quel termine? Con esso si ottengono due risultati: si afferma il collegamento con la pena di morte, trasmettendo in modo più efficace di qualunque discorso l'equiparazione tra l'aborto legale e l'uccisione legale; e si nega quello che finora è stato, nel mondo pro-choice, il marchio del progresso: l'aborto-conquista-di-civiltà diventa invece, come la pena di morte, qualcosa che la vera civiltà dei diritti umani deve superare. E infatti non a caso l'iniziativa ha il suo culmine nella richiesta di emendamento della Dichiarazione dei diritti dell'Onu. Una richiesta che ha poca possibilità di essere accolta, ma che serve a dare la misura della rottura culturale a cui aspira il direttore del Foglio.Si tratta dunque di un rovesciamento del discorso, che per sua natura rende difficile la controargomentazione. Una provocazione così audace e così spiazzante non sembra avere lo scopo di discutere seriamente con chi dissente, ma quello di suscitare un diluvio di consensi. Ed è ciò che sta avvenendo; però Ferrara dovrebbe riflettere su quanto poco confronto di merito stia venendo fuori. Se davvero la sua volontà di discussione è sincera, dovrebbe chiedersi se non abbia dato alla discussione stessa dei confini troppo rigidi. Se infatti il dialogo deve partire dall'assunto che l'aborto è l'omicidio di un bambino, allora nessun dialogo è possibile. La clamorosa provocazione si rivelerebbe - e anche questo è un paradosso - un'occasione sprecata.Forte ed evidente è invece la ricaduta politica della campagna del Foglio, soprattutto nel Partito democratico. Dove i laici troppo spesso tacciono, stretti dalla ragion politica che in questo momento determina il protagonismo dei cattolici integralisti; o talvolta anche esprimono una laicità difensiva e ideologica. Lo stesso Ferrara, e ieri Panebianco sul Corriere della sera, si sono chiesti se e come possano convivere nel Pd posizioni etiche radicalmente diverse. Apparentemente il problema non è nuovo. Già nei partiti tradizionali si riscontrava un pluralismo etico: la posizione del Pci sul divorzio o sull'aborto non era certo monolitica. Anche allora, come oggi, c'era una ampia maggioranza laica, e agguerrite minoranze religiose.(leggi tutto)

 Se oggi il Pd trova difficile definire una nuova sintesi sul tema della laicità, è perché problemi nuovi e nuove sensibilità agitano l'orizzonte; ma anche perché è cambiata la ragione d'essere politica della laicità. Questa per prima chiede una ridefinizione, meno ideologica e più dialogante con la coscienza religiosa, meno statalista e più liberale.Non basta affermare la laicità dello Stato (che nessuno può mettere in discussione, a meno di cambiare la costituzione); si tratta di assumere la laicità come rispetto del pluralismo e della autonomia dei cittadini nelle scelte che riguardano la loro vita e la loro morte. Per quanto pluralista possa essere un partito, questo aggancio alla laicità non può non essere il suo terreno comune. Per garantire la libertà di tutti i suoi aderenti, ma soprattutto per garantire la sua funzione di rappresentanza di un paese che è anch'esso per primo segnato dal pluralismo etico. Il Pd ha bisogno, per nascere, che laici e cattolici stringano un patto non solo di rispetto reciproco, ma di reciproco riconoscimento e di collaborazione. Questo patto deve consistere in una comune assunzione di laicità rinnovata: un esito che non è affatto fuori delle possibilità di questo partito. Del resto, i teodem si contano sulle dita di una mano. La loro sovraesposizione politica e mediatica è l'effetto perverso di un sistema politico malato e distorto, che fa sì che al Senato ci siano due voti di maggioranza. In un sistema politico sano, il loro dissenso sarebbe fisiologico, e potrebbe essere regolato pacificamente. E verrebbe meno la loro funesta capacità di ricatto sui cattolici laici.Panebianco osserva poi che la vera difficoltà del Pd è quella di realizzare l'incontro tra la tradizione postcomunista e quella del cattolicesimo democratico, perché ambedue logorate e non più sufficienti a costituire la "ragione sociale" del partito. Che quindi dovrebbe cambiarla. Ma il progetto del Pd non è questo, sebbene così sia talvolta presentato, per una sorta di pigrizia mentale, dai suoi stessi dirigenti. Se quelle due tradizioni fossero ancora vive, non avrebbero bisogno di unirsi in un partito. Il progetto del Pd è invece quello di un partito del XXI secolo, un partito che nasce precisamente dalla presa d'atto che quelle due tradizioni politiche e culturali sono arrivate al capolinea. Non sappiamo se andrà in porto. Ma se ci riuscirà, sarà solo come un partito capace di disegnare una identità politica nuova, della quale sia parte essenziale una ridefinizione della laicità.

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Così come Syriza in Grecia non era il futuro profetico per la sinistra italiana, così non dobbiamo considerare che la sconfitta di Miliband in Inghilterra sia esattamente trasponibile nel dibattito della sinistra italiana. In Inghilterra ha pesato potentemente lo straordinario successo del partito nazionalista scozzese. Non facciamo equazioni troppo semplici. In Italia aspettiamo l’esito delle elezioni amministrative. Credo andranno bene, anche se peserà la disaffezione degli elettori vrso le elezioni locali. La formazione delle liste in Campania è il simbolo di un grave problema che si sta determinando nel PD: non basta imbarcare tutti per vincere. Bisogna vincere lealmente, con persone presentabili.

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